Cultura

Published on 10 Luglio, 2013 | by Claudia Zedda

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Pigai a ogu: la medicina dell’occhio

Per liberarsi dell’occhio cattivo che pesa sulle spalle di chi l’ha raccolto (a patto che si creda che il malocchio possa essere raccolto e possa essere lanciato), oltre alla soluzione già discussa degli amuleti, c’è anche quella della medicina.

Non si tratta di aprire una bustina di Oki e buttar giù una compressa di Aulin: la medicina che cura il malocchio è qualcosa di più complesso, più difficile da consumare e dannatamente più antico.

Di ingredienti fondamentali ce ne sono due, forse tre: l’acqua, la donna, la fede. E non mi riferisco alla fede in Dio o nei santi, che pure vengono interpellati, ma parlo della fede nella medicina. E’ un fatto ben noto: chi non crede che la medicina dell’occhio possa aver successo, non godrà di alcun beneficio nel farsela fare, perché per la buona riuscita ci vuole fede.

Andiamo per ordine: chi è sicuro d’aver raccolto il malo occhio, secondo la tradizione isolana può o tenerselo e conviverci (per altro soluzione sconsigliata), o farsi curare da una donna che conosca la medicina. Trovata la “guaritrice – curatrice” la si deve contattare, esporre il problema e richiederne l’assistenza. Niente file alla cassa, né ticket da pagare: altro che la ASL, le curatrici sarde sono generose, e in cambio dei propri servizi non richiedono alcun compenso.

A questo punto è d’obbligo una precisazione: ci sono tante tecniche per la realizzazione della medicina quanti tipi di pani esistono nell’isola, un’infinità. Oggi parliamo di quella che grosso modo accomuna tutto il Campidano (con lievi varianti).

Con di fronte il malato, o con il nome dell’interessato ben in testa, la guaritrice riempie un piatto fondo d’acqua, poco importa se di rubinetto o oligominerale, versa dell’olio sul piatto e recita una preghiera. La preghiera alcune donne la ripetono in silenzio, altre a mezza voce: le prime la considerano un segreto inviolabile, rubato il quale il potere andrà perso, le seconde sono convinte che la preghiera non possa essere rubata ma solo donata e avrà efficacia solo dopo la loro morte.

Acqua, donna, olio e preghiera e in aggiunta qualche segno della croce  e l’attesa del responso. A darlo ci pensa l’olio: normalmente rimane a galla, ma delle volte le gocce cadono a fondo. In quel caso il malo occhio c’è e va tolto.

Ci penserà la donna, ripetendo il rituale per tre volte, una la mattina, una il pomeriggio e una la sera visto che non si può sapere con certezza quando il malocchio sia stato raccolto.

Quel che conta è che in poche ore il male sarà tolto e la guaritrice – curatrice -zietta potrà essere ringraziata con un dono, uno qualsiasi: un fiore, dei cioccolatini, dei dolci… quel che si desidera.

Chi fa uso di questo genere di soluzioni? Le ziette che ho intervistato potrebbero dirvi piuttosto chi non ne fa uso: la medicina dell’occhio è un po’ come un bel gelato in dieta, prima o poi sgarrano tutti.

Non essere timida/o: raccontaci la tua.

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